Perché essere a favore dell’uso popolare della bicicletta e essere ostili al bike sharing? Ve lo spiega il Barber Snob dal suo salone milanese sui Navigli.
Quello della bicicletta è uno dei grandi ritorni di questo difficile periodo, fatto di grandi innovazioni, ma anche di molti ripensamenti. Nell’era dell’ecosostenibilità si riscopre e si rispolvera da soffitte e cantine questo mezzo storico, messo a punto per la prima volta nel 1817 come veicolo alternativo al carro trainato da cavallo. Lo ha inventato un mondo agricolo che in quegli anni si stava affacciando per la prima volta all’era industriale, oggi ormai un lontano ricordo.
Cosa possiamo cogliere dal mondo della bicicletta in prima battuta? Forse la sua grande semplicità su due ruote, almeno per noi che siamo abituati alla sua esistenza. Pensate che nel mondo ci sono più di due miliardi di bici, un numero doppio rispetto a quello delle automobili.
Tuttavia, per comprenderne la portata, dobbiamo riconoscere che la bicicletta ormai non è più solo un mezzo di trasporto, è soprattutto una presa di coscienza, una filosofia alternativa, l’inaugurazione di un nuovo stile di vita ecosostenibile. In totale contrappunto a tutto quanto ha rappresentato proprio l’era industriale che l’ha generata. Oggi è uno status symbol di chi ha deciso che è ora di cambiare e non certo con un passo in avanti – come voleva il vecchio positivismo ottimista, ma con uno tutto all’indietro.
La bicicletta è un mezzo immediato di trasporto, che richiede zero costi di gestione e restituisce, in cambio, notevoli benefici per la salute. Con più ciclisti per strada tra qualche anno avremo sicuramente meno obesi e anche meno infartuati in corsia.
Qui parliamo anche di politica perché il compito principale della politica è prevedere i fenomeni e far sì che si verifichino quelli più vantaggiosi per tutti. Bene, gli ecoincentivi italiani per l’acquisto della bicicletta, anche elettrica, hanno fatto sì che le vendite nel nostro paese balzassero del 60% nel maggio del 2020, con benefici economici immediati e l’innegabile prospettiva di un più diffuso benessere fisico per il futuro.
Adesso per un attimo, chiudiamo gli occhi e immaginiamoci una nuova socialità. Sì, perché alle serate di gala domani potrebbero non arrivare più le grandi autovetture tirate a lucido, ma eleganti signore in bicicletta e tandem, che pedalano con quello charme che è il carattere distintivo degli snob.
E non andate con il pensiero alla Cina e alla società orientale: commettereste un errore. La Cina è al 10 posto per le bici pro-capite nel mondo. Al primo posto c’è un paese europeo, l’Olanda: qui il 99,1% degli abitanti ne possiede una contro il 37,2% della Cina. Ai primi posti troviamo solo i paesi nordici dell’Europa, dove fa freddo, nevica e piove spesso. Dove, però, la cultura dell’ecosostenibilità e del rispetto sociale è da sempre forte e viaggia di pari passo all’utilizzo della bicicletta. Un mezzo che è certamente simbolo di una visione della società nel suo insieme.
E l’Italia? Beh, malgrado gli incentivi statali, per ora, non appare nemmeno in fondo alla ‘top ten’ dei paesi in bicicletta. Forse anche perché qui le bici si rubano e non è facile tirarle fuori per andare da qualche parte con serenità. Qui la politica latita: nessun nuovo deterrente al furto di bici.
E veniamo al ‘bike sharing’, al noleggio delle biciclette: con ogni probabilità, non ce ne sarebbe bisogno se non ci fossero furti. Se potessimo riportarci a casa la nostra bici. Ricordiamocelo, perché anche lo stile e il design di una bicicletta fanno parte di quell’individualità e diversità che sono uno dei perni della nostra cultura occidentale, italiana in particolare. Un po’ come un abito: una rappresentazione della propria personalità, nella diversità. Il ‘bike sharing’ rappresenta il suo opposto, l’uniformità: il luogo in cui è più diffuso al mondo, non a caso, è la provincia di Wuhan in Cina. Possiamo farne a meno.