“Ci hanno fatto vivere nell’incertezza fino all’ultimo. A poche ore dalla riapertura non sapevamo ancora cosa avremmo dovuto per poter riprendere il nostro lavoro in sicurezza. Io citerei in giudizio il governo non per danni economici, ma morali”.
Antonella Boni, un salone storico a Roma aperto dal padre nel 1961, ripercorre questi ultimi mesi, il lungo lockdown e il senso di abbandono che ha provato di fronte alle istituzioni. Si è sentita sola.
“A meno di un giorno dalla riapertura dei saloni, nessuno nel governo sapeva dirci cosa avremmo dovuto fare per ripartire. Nessuna normativa. Per fortuna, tra i miei clienti ci sono diversi medici: sono stati loro a darmi le indicazioni dettate dal buon senso. Quando finalmente, a poche ore dall’ora X, sono arrivate le disposizioni del governo, io ero pronta”, si sfoga Antonella.
“Come se non bastasse, fino all’ultimo sembrava che avremmo potuto aprire i negozi dalle 9.00 alle 21.00. Poi all’improvviso ci hanno comunicato che, per evitare assembramenti di lavoratori, a Roma avremmo potuto aprire solo alle 11.00. A poche ore dalla riapertura sono saltate tutte le agende giornaliere degli appuntamenti costruite faticosamente in settimane di lavoro durante la quarantena”.
Con voce sicura, ferma, Antonella parla della fatica di quei giorni drammatici, delle notti insonni del lockdown, quando arrivavano le spese senza che ci fossero entrate. Un dramma vissuto da tutti gli acconciatori italiani.
“A un certo punto ho chiamato mio padre. Lavoro nel mio salone da tanti anni, dal 1984, ma così fragile non mi sono mai sentita”, racconta Antonella. “Gli ho chiesto: papà, cosa devo fare quando finiscono i soldi? E lui mi ha detto: non fai niente, finiscono e basta. Cosa puoi fare?”.
E adesso che i saloni hanno riaperto, c’è chi fa speculazione senza scrupoli.
“Prima di questa emergenza, l’iscrizione all’associazione degli artigiani era obbligatoria solo se avevi più di cinque dipendenti. Peccato che adesso si scopre che, per accedere alla cassa integrazione per i tuoi dipendenti, devi essere iscritto. Bene, ho dovuto farlo e pagare anche tre anni di arretrati: 600 euro l’anno. Vi sembra giusto in un momento come questo? Tra l’altro, sappiamo tutti che la cassa integrazione non è ancora arrivata per nessuno”.
Antonella non si ferma e denuncia la situazione che si è creata con le forniture di materiale sanitario per far fronte all’emergenza Covid.
“I prezzi di kimoni e mantelline monouso stanno letteralmente lievitando di ordine in ordine. I fornitori stanno speculando sulla nostra pelle”.
“L’unica soddisfazione sono le mie clienti: in salone regna il silenzio, si vede che quando sono qui sono immerse in questa esperienza di benessere e bellezza che a loro è mancata tanto. Mi trasmettono il valore del mio mestiere ed è appagante. Nessuna di loro si è lamentata per l’appuntamento che le ho fissato, nessuna ha voluto spostarlo nemmeno di un’ora. Erano tutte semplicemente felici di ritornare. E io non ho ritoccato il listino prezzi, non ho voluto farlo in questo momento così duro per rispetto di tutti”.
C’è più di una nota amara nelle parole di Antonella.
“Una volta per riuscire nella vita ci volevano capacità. Adesso l’impressione è che ci voglia soprattutto fortuna. Non sappiamo cosa ci aspetta nei prossimi mesi, non lo sa nessuno”.