Francesco Cirignotta, dal suo salone da barbiere a Milano, ci invita a prendere il destino per le redini, se non altro con atteggiamento ‘attendista’.
Speranza: è l’ultima a restare sul fondo del vaso di Pandora quando il coperchio si apre e tutto scivola via. In tempi difficili è la speranza a fare luce: e, infatti, sono mesi che non si parla di altro. Speranza che tutto finisca presto, speranza di rinascita, speranza di ripresa, speranza di uscirne a breve.
Mi permetto, però, di fare un doveroso distinguo. La speranza è un sentimento complesso, sfaccettato: potremmo dire che non tutte le speranze sono uguali.
C’è quella di chi si lascia vivere: l’atteggiamento è quello di chi, nel mezzo di una rivoluzione, resta a guardare dal balcone per vedere cosa accadrà in strada ed eventualmente essere pronto a saltare sul carro più comodo che prima o poi passerà sotto casa.
Poi c’è un’altra speranza, quella attiva: nel mezzo della rivoluzione si scende per strada per capire cosa sta accadendo. Se non altro per decidere se partecipare al cambiamento o, nell’ipotesi peggiore, cercare di arginarlo con atteggiamento attendista, ammesso che sia possibile. Questa seconda speranza dipende da noi e dalle nostre azioni: è quella che si trasforma in risultato.
Dentro la parola speranza ci vedo, per certi versi, l’ultima forma di religione mondiale, il credo senza il quale l’intelletto rischierebbe il corto circuito.
Essere attivamente speranzosi ci riempie di energia, gioia, prospettiva: è solo così che la nostra vita può compiersi. Essere passivi di fronte alla speranza ci affligge, ci rende succubi, ci fa trascinare: in una parola, ci fa morire in vita.
Invito tutti a intraprendere la strada della speranza attiva, anche se da attendisti. Spesso questa speranza altro non è che la fiducia negli altri esseri umani. Speriamo, ma da protagonisti.