Lo stile è una cartina di tornasole: c’è quello autentico, frutto di un’idea personale, e c’è quello standard, a uso e consumo di chi non ne ha. L’opinione del Barber Snob di Milano, il barbiere Francesco Cirignotta.
Si parla spesso di stile, un tratto distintivo che tutti possiamo percepire con facilità negli altri ma che ci riesce difficile spiegare in concreto cosa sia. Lo stile potrebbe essere considerato una sorta di firma, di riconoscibilità personale. Ha in qualche modo a che vedere con le regole di ciascuno, la geografia e la storicità. È sicuramente realizzazione, pensiero, stile di vita. Non ha sicuramente a che vedere con la rigidità, la staticità: dunque, è qualcosa di mobile, che sfugge. Ed ecco perché è difficile da esprimere parlando per categorie.
Per certi versi lo stile è immortale: appartiene a chi sa cambiare se stesso e ha imparato a diventare un altro ogni volta che serve. Appartiene anche a chi si ritrova ringiovanito con il trascorrere degli anni. Questo perché lo stile è figlio della fantasia dell’essere umano.
L’etimologia di stile è curiosa: viene dalla parola latina ‘stilus’, vale a dire lo ‘stilo’. “Piccola asta d’osso o di metallo, appuntita a una estremità e piatta dall’altra, usata dagli antichi per scrivere sulle tavolette cerate”. Insomma, lo stile sarà anche figlio della fantasia, ma è legato in qualche modo alla capacità di trasmettere e fissare qualcosa per sempre perché non vada perduto. Lo stile o stilo lascia la traccia nella cera come nella vita.
Bisogna partire dall’arte, dunque, perché in essa è racchiusa la vera istituzionalità dello stile, il quale, per essere riconosciuto e riconoscibile, necessita di regole, indicazioni, di ideologie ben radicate in un certo periodo. Necessita, soprattutto, di realizzatori che ne prendano in carico l’idea stessa.
Nel frattempo, nasce un essere umano, cresce e studia: nel suo percorso fa sì che qualche regola dello stile che lo ha preceduto vari o cambi radicalmente: è così che lo stile ha modo di essere immortale.
Oggi si parla di stili di vita solo perché si possono vivere vite a più dimensioni. Ieri gli stili erano poco più di tre: i servi, i padroni e i coronati.
Grazie al mio mestiere di barbiere, sempre a contatto con le persone, mi accorgo che, pur volendo spesso rifarsi a canoni ben precisi di stile, essendo ciascuno figlio del suo tempo e della sua vita, involontariamente determina uno stile nuovo, il suo. Ciascuno desidera uno stile perché ha bisogno di sentirsi addosso un abito, per non essere ‘nudo’.
Facciamo un esempio concreto: lo stile libero, democratico, formale o informale, a volte è l’abito, altre l’accessorio, solo qualche volta un vero e proprio stile personale. Vorrebbe essere, anche se raramente ci riesce, una sorta di codice di riconoscibilità semiotica. Nella macchina da scrivere Olivetti lo stile non era rappresentato solo dalla custodia, ma anche dal bullone che nessuno vedeva: in quella macchina c’era un’idea del fare e del fare bene. Ecco, questa è proprio una questione di stile.
Ogni gentleman rispetta lo stile con cui ha deciso di vestirsi e farsi rappresentare: conta tutto, dalle sfumature al contesto, fino alla condizione socio-economica e politica del tempo di riferimento. Lo stile, comunque, si adatta a tutto: lo abbiamo detto. È anche vero che, per certi versi, è la cartina tornasole degli imbecilli capaci solamente di copiarne la cifra senza un briciolo di autenticità.