Milano zona rossa, saloni di bellezza chiusi. Il barbiere Francesco Cirignotta esprime a nome di molti colleghi qualche dubbio dettato dal semplice buon senso. Uno per tutti: ‘abbiamo ancora il diritto al lavoro’?
Faccio una premessa, non per mettere le mani avanti, ma per lasciare in chi legge l’unica sicurezza di questi difficili giorni: l’incertezza. Dunque, quanto sto per dire non è frutto di una competenza o di un sapere assoluti, ma figlio del beneficio del dubbio.
Dover o poter gestire momenti di grandi difficoltà di un Paese credo sia sempre complesso. Giudicare questo duro compito è sempre piuttosto scivoloso: non ti senti mai abbastanza grande. Eppure, è innegabile che quando ci si mette seduti a un tavolo, magari davanti a una buona birra, tutti noi ci sentiamo in grado di esprimere, con minor o maggior fortuna, un po’ di buon senso. Il buon senso altro non è che la nostra propensione quasi naturale a elaborare un certo numero di informazioni che abbiamo avuto la possibilità o la capacità di raccogliere e di dargli una collocazione nella vita nostra e degli altri. Ecco io adesso mi ci metto: mi affido al buon senso.
L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. O lo era: perché dover sgomitare per poter alimentare un diritto mi sembra sospetto già in tempi normali, figurarsi in un momento in cui il diritto sacrosanto e sancito dalla Costituzione viene meno del tutto. Ma possiamo ancora convincerci che dietro le quinte ci sia qualcuno che sta facendo qualcosa per il bene di tutti.
Non trascuro il fatto che per godere un diritto è necessario rispettarne le regole che ne conseguono ovvero fare il proprio dovere: bisogna avere le virtù del buon cittadino, del buon lavoratore…
Mi viene in mente, però, che è facile essere virtuosi quando si ha il riscaldamento in casa, l’acqua calda e fresca e qualche soldo in banca. Più difficile è essere virtuosi quando queste cose vengono a mancare. Sembra, per esperienza storica pregressa, che le virtù, che pure sono parte integrante dell’educazione primaria, lascino il posto alla vera natura umana, quella più feroce, nei momenti di difficoltà, quando tutti gli argini crollano.
Ora è chiaro che se noi dovessimo continuare su questa strada intrapresa, ci ritroveremmo direttamente ad avere dei mandanti nella nostra società che stanno mettendo le persone nella condizione di perdere le virtù in nome e per conto della paura e del bisogno.
Ricordiamoci che nelle virtù c’è la garanzia delle responsabilità e il rispetto delle regole. Quando meno di un anno fa noi parrucchieri, barbieri ed estetiste ci siamo ritrovati tutti insieme a organizzare, con grande responsabilità comune, i protocolli del servizio alla persona, siamo arrivati a un punto fermo riconosciuto dal governo: siamo un servizio essenziale e se manteniamo le distanze, purifichiamo l’aria, disinfettiamo tutto – con investimenti oggettivi – non ci saranno problemi. A un certo punto, però, questo punto fermo è venuto meno: secondo il governo, abbiamo smesso di essere un mestiere essenziale e i nostri protocolli di sicurezza sono diventati inutili. Qual è il senno, la discriminante tra il prima e il dopo?
Torniamo al mandante: nel momento in cui si interrompe uno sviluppo che, pur a bassa tensione, sta facendo funzionare una mobilità sociale del decoro, quel che succede è che molti, alla chiusura del proprio esercizio, stretti dal bisogno, perdono quel senso di civiltà o di responsabilità di cui parlavamo prima e lasciano da parte le virtù. Iniziano a fare i capelli a casa o casa per casa senza alcun protocollo di sicurezza, fuori da ogni controllo.
Non è un’accusa la mia. Ma se la prossima settimana ci dovessero dire che possiamo riaprire, sarà una guerra poter tenere ferme le persone che aspettano di tornare in salone proprio nel momento in cui noi parrucchieri ne abbiamo più bisogno: le poltrone si avvicineranno nuovamente, l’organizzazione verrà meno, ci sarà confusione, si moltiplicheranno gli assembramenti. Non possiamo perdere sempre denaro, non possiamo più permettercelo: è un dato oggettivo.
Ci avete chiusi, ci avete tolto il diritto al lavoro, abbiamo rispettato le regole, abbiamo continuato a pagare. Ora alla riapertura (ma perché potremmo riaprire, cosa sarebbe cambiato nuovamente?) dovremmo lasciare i clienti giudiziosamente in coda per mesi.
Io non capisco più. Come mai ogni volta che si fanno le cose giuste, ci si sente a disagio come se stessimo facendo quelle sbagliate?