Nell’immagine una foto di di Nick Demou da Pexels.
Parrucchieri chiusi: prima essenziali, con un ruolo nella comunità, poi in forse come tanti altri, poi chiusi come tutti. Il Barber Snob, Francesco Cirignotta, ha aperto il tema una settimana fa e ha acceso il dibattito sulla necessità stringente o meno di tenere i saloni ancora con le saracinesche abbassate. La palla adesso passa a un collega, Luca Giubilei, titolare dei saloni L. G. Hair Studio e Giubilei’s Barbershop, a Sansepolcro, Arezzo. Luca riprende la polemica di fondo tra i parrucchieri in queste ore: “adesso, chi obbedisce a chi?”
Ho un’azienda e sono abituato a fare. Per me a fine giornata valgono solo i risultati, dove per risultato intendo il cosa si fa, il come lo si fa, il quanto mi costa, il quanto costa alla comunità e quanto valore produce. Diciamo che la cosa più stringente resta sempre il valore: mediamente, accettato o meno dal cliente che sia, è ciò che mi permette di ricominciare il giro. Non so se sono stato chiaro…
Un anno fa, come tantissimi, mi sono ritrovato spiazzato da un evento non calcolato e ho deciso, ancor prima che arrivasse l’obbligo di fermare l’azienda, di trovare soluzioni sostenibili in linea con le condizioni cambiate: in salone ho messo in atto nuove norme igieniche, più stringenti, pratiche di distanziamento e un inedito controllo dell’ingresso della clientela.
Trovare le soluzioni e seguite le indicazioni che via via venivano date, mi ha permesso di affinare giorno per giorno la pratica, analizzando il cosa, il come, il costo per me e per la comunità, controllando sempre, ovviamente, che tutto ciò continuasse a produrre valore.
Per un lungo periodo ho visto gli sforzi miei e di molti acconciatori premiati, vedendo riconoscere alle nostre aziende un giusto ruolo nella comunità. Siamo stati ‘essenziali’ nel sostenere e curare l’igiene e il decoro dell’immagine che ogni cliente ha del suo io. Ci è stato riconosciuto di aver trovato soluzioni etiche e sicure e di aver dato il nostro contributo nel rendere le persone migliori anche in questo difficile momento.
Mi sono reso conto che la stessa possibilità non era stata data ad altre professioni, anch’esse essenziali, per altri versi. Mi son chiesto quale fosse la logica e perché non si potesse creare una pratica sicura per ogni categoria professionale della bellezza.
Ad un certo punto qualcosa è cambiato. Anche la mia professione è tornata a essere non sicura e non essenziale.
Ora, non mi disturba tanto e soltanto il fatto che chiudere un’attività implichi una perdita economica per me, i miei collaboratori, le aziende partner di prodotti, materiali, pulizie ecc. con l’inevitabile ricaduta fiscale anche sullo Stato. Mi preoccupa il pensiero instillato nelle persone con questa chiusura, che viene fatta passare come parte di una soluzione al problema. È eticamente corretto accettarla di buon grado?
Abbiamo assistito a una chiusura nazionale, poi a colori per regioni, ora per provincie, comuni e zone. Pur essendo io in un comune rosso, ritengo giusto il metodo che segue il principio di sussidiarietà. Non più misure uguali per tutti a prescindere, ma utili a tutti in base alle necessità locali. Allora mi chiedo, perché poi generalizzare le aziende per categoria? Perché non creare un certificato di sicurezza per le aziende, di qualsiasi tipo esse siano, che, per restare aperte, dovranno dimostrare di saper lavorare in sicurezza? Perché lasciare al cittadino l’onere di fare lo sceriffo, di innescare una guerra tra poveri nell’accusare quella o l’altra categoria di essere gli untori?
Il cittadino, e anche il buon cittadino, non deve controllare: semplicemente, in qualità di consumatore, sceglie e già di per sé manda un messaggio. Il resto deve farlo chi controlla.
Giustizia implica la non colpevolezza fino a prova contraria. Giustizia del lavoro è lasciar lavorare a fronte di una certificazione di sicurezza e chiudere tutti quelli che non sono a norma. Quello che sta succedendo ora alimenta rabbie e frustrazioni. Non si meravigli nessuno se adesso serpeggia incontrollata la disobbedienza civile. Non aspettatevi nessuna protesta plateale o una rivolta: solo disobbedienza con conseguente inefficacia di qualsiasi misura imposta.
A questo punto la domanda che mi pongo da titolare di azienda che ragiona, come ho già detto, è la seguente: cosa fanno le imposizioni di oggi? Come lo fanno? Quanto costano al cittadino? E allo stato? E quale valore producono? Soprattutto, quante persone sono ancora disposte ad obbedire?